Teatro

Parigi, Francesca da Rimini

Parigi, Francesca da Rimini

Parigi, Opéra Bastille, "Francesca da Rimini" di Riccardo Zandonai PAOLO E FRANCESCA NEL VITTORIALE 

Francesca da Rimini è l'opera più conosciuta di Zandonai; creata a Torino nel 1914, ebbe subito un discreto successo per poi cadere nell'oblio e solo di recente sta tornando sulle scene italiane ed internazionali. L'opera risente del gusto dell'epoca in cui fu scritta e vi confluiscono le esperienze più raffinate del melodramma italiano del tempo (Puccini e Mascagni), echi della tradizione sinfonica austro-tedesca e tracce dei delicati impasti timbrici dell'impressionismo francese; si dipana come un poema  musicale in cui non ci sono melodie di facile presa quanto il ricorrere di  motivi di squisita fattura, eleganti come  linee art nouveau, inseriti in un impasto timbrico sontuoso e contrastato ove si alternano scene di genere (battaglia, tortura, gelosia) a pagine di delicato intimismo e amore appassionato. Il libretto, opportunamente limato al fine di conseguire maggiore efficacia melodrammatica, è tratto dall'omonima tragedia di D'Annunzio scritta per Eleonora Duse e narra la storia di Paolo e Francesca, gli infelici amanti immortalati da Dante nel V canto dell'Inferno.

Francesca da Rimini fa ora  il suo ingresso all'Opéra di Parigi nell'allestimento firmato per Zurigo da Giancarlo Del Monaco, che, come già avvenuto per l'Andrea Chénier visto l'anno scorso, propone  uno spettacolo scenograficamente molto curato, ma decisamente convenzionale: l'unica idea è avere trasposto la vicenda medievale nell'epoca in cui fu composto il melodramma con marcato riferimento a Gabriele D'Annunzio (nume tutelare la cui maschera funebre è proiettata sul velatino), alla sua dimora (il Vittoriale) e alla sua musa (Eleonora Duse).
Il sipario si apre su di un giardino fiorito in un tripudio di rose, statue, felci e fontane dove si muovono  leggiadre fanciulle in abiti romantici chiari e vaporosi. Se pur lezioso, il colpo d'occhio è gradevole e ricorda un quadro di Alma Tadema, ma il falcone impagliato ostentato dalla schiava e il nano al seguito del giullare stonano decisamente. Il Vittoriale degli Italiani è riferimento assoluto per le scenografie di Carlo Centolavigna e negli atti successivi  si susseguono raffinati interni liberty che emanano un'atmosfera decadente e fatale. Pareti nero e oro, boiseries rosso cupo in cui si affastellano come in una scacchiera dipinti di volti femminili, paraventi ricamati, vasi preziosi, statue, antichità, broccati, vetrate geometriche in un eccesso di raffinatezza che dà un senso di vertigine e claustrofobia e che alla lunga limita le potenzialità espressive e poetiche dell'opera, risultando più adatto alla preziosa versificazione di D'Annunzio che non alla verità sentimentale ed emotiva del melodramma di Zandonai.
Nella scena della battaglia, l'entrata in scena di Gianciotto, che esce dalla prua di una nave in sedia a rotelle  (allusione alla Corvetta Puglia che D'Annunzio aveva in giardino) risulta ridicola e il grigio e brumoso paesaggio marino (peraltro pertinente) passa in secondo piano. La  regia (e implicitamente la tendenza neo-conservatrice dell'attuale direzione artistica) è stata vistosamente fischiata alla prima e ha destato qualche sorriso alle repliche, mentre l'esecuzione musicale ha riscosso unanime consenso.

Svetla Vassileva risulta una Francesca perfetta per il volto da Madonna incorniciato da capelli neri, la grazia preraffaellita della figura sottile (valorizzata dai bellissimi costumi di Maria Filippi), la delicatezza di un gesto che traduce una nobiltà di sentire; la voce ben proiettata non ha difficoltà ad espandersi nella grande sala della Bastille e si apprezza l'accento drammatico misto a dolcezza e un registro medio suggestivo compensa qualche tensione negli acuti.
Ritorna vincitore dopo una lunga assenza Roberto Alagna, beniamino del pubblico parigino, che in questa occasione dimostra una forma vocale smagliante; allure da Principe Azzurro, sorriso radioso e taglio scolpito è un Paolo il Bello assolutamente credibile; la voce, divenuta più corposa senza aver perso l'originaria bellezza timbrica, domina senza sforzo la massa orchestrale senza cedere a un gusto verista, rivelando grande attenzione a stile, sfumature e fraseggio; dolcissimo, vibrante ed estatico il duetto del terzo atto.
Convince George Gagnidze per la voce sonora e imponente che rende il personaggio di  Giovanni lo Sciancato torvo e temibile e lo scontro con il fratello Malatestino è un momento drammatico ad alta tensione. Anche William Joyner (Malatestino) ha buoni  mezzi vocali, peccato che la regia abbia caricato il personaggio di movimenti eccessivamente lubrici e ridicoli. Louise Callinan è una Samaritana delicata, Cornelia Oncioiu  è una schiava intensa di bella voce. Gradevoli e ben assortite le voci femminili dei personaggi di fianco: Grazia Lee (Biancofiore), Manuela Bisceglie (Garsenda), Carol Garcia (Adonella) e  Andrea Hill (Altichiara). Piuttosto deboli il Giullare di Yuri Kissin ed il Ser Toldo di Alexandre Kravetz. Concludono il cast Alexandre Duhamel (il Torrigiano), Nicolas Marie (il Balestriere) e la Voce del Prigioniero di Ook Chung.

Daniel Oren dirige col solito piglio un'opera di cui sottolinea la matrice italiana, esalta  la  ricchezza timbrica di una partitura sovraccarica ma tiene in pugno l'orchestra (ulteriormente potenziata in alcune sezioni per ottenere maggiore effetto) senza coprire i cantanti, in  una progressione elettrizzante dalla trascinante forza teatrale. Buona la prova preparato da Patrick Marie Aubert.

Un pubblico calorosissimo ha tributato lunghi applausi a tutti ed ovazioni a  "Robertò".

Visto a Parigi, Opéra Bastille, il 12/02/2011

Ilaria Bellini